“l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena”
1. È prodotto utilizzando uve bianche locali previste dal rigoroso disciplinare, tra le quali la più importante è il Trebbiano di Spagna che può essere utilizzato anche da solo. Ammesse anche tutte le uve rosse dei vari lambruschi e le altre rosse facenti parte delle uve da sempre allevate assieme ai lambruschi,
2. una volta pigiate si ottiene un mosto privo di qualsiasi aggiunta di sostanze chimiche, questo viene cotto in vasi aperti di diverse capacità a seconda delle varie esigenze produttive .
3. ottenuta attraverso una paziente cottura, a vaso aperto, una consistente riduzione e concentrazione del mosto stesso, lo si lascia raffreddare e decantare in attesa della successiva immissione nei barili di testa delle batterie.
4. le batterie sono infatti una sequenza di diverse botticelle di volume diverso, detti vaselli, composti di legni di diverse essenze autoctone della provincia: quercia, robinia, gelso, frassino, acacia, castagno e ginepro anche se quest’ultimo trasmettendo una forte influenza al balsamico, attraverso la sua essenza resinosa, non sempre viene adottato in sequenza ma rincalzato a parte. I vaselli mantenendo tra di essi una proporzione scalare delle rispettive capacità, svolgono la triplice funzione di acetificazione, maturazione, invecchiamento.
5. per questo motivo il numero minimo delle botticelle o “vaselli” di una batteria è di tre, mentre, teoricamente, non esistono limiti numerici di botticelle, che in esubero al minimo, compongano una batteria, anche se 5 sembra essere un numero ottimale. Le capacità più utilizzate vanno dai 50 litri della più grande fino ai 10 litri della più piccola.
6. nella botticella di capacità più grande viene immesso il mosto cotto d’annata mentre nella più piccola viene prelevato il balsamico pronto per il consumo. le rimanenti botti intermedie servono a “rincalzare” scalarmente il prodotto. Si parte dalla più piccola la quale privata del liquido balsamico destinato al consumo deve essere reintegrata alla giusta misura da quella immediatamente attigua e via via la stessa cosa accade per le botticelle successive fino alla più grande che come detto viene rifornita dal mosto cotto dell’ultima vendemmia.
7. per dirsi balsamico tradizionale un aceto prodotto in questo modo deve veder trascorrere almeno 12 anni dalla messa in opera di una batteria la quale sarà stata all’inizio opportunamente innestata con innoculi di aceto batteri prelevati da acetaie già a regime.
8. La botte di aceto balsamico necessita di non essere riempita completamente ma a due terzi della sua capacità poiché occorre favorire una buona areazione dell’aceto per poterne innescare i previsti processi.
9. Il prelievo annuale del balsamico così creato deve essere fatto con molta parsimonia poiché in caso contrario si corre il rischio di snervare il prodotto rimanente, snaturandone le caratteristiche. Solitamente è consigliabile non prelevare più del 50% del contenuto del vasello.
Fare il balsamico in proprio non è semplice. La stessa catena del tramandarsi le regole e gli usi non scritti legati alla conduzione della propria acetaia familiare secondo i ritmi di una civiltà contadina, è andata scemando rapidamente dopo millenaria esistenza al termine dell’ultimo dopoguerra. Il recupero negli ultimi 25/30 anni di tutta una serie di usanze compresa quella di fare il balsamico ha permesso di salvaguardarne la prospettiva futura ed anzi ne ha alimentato un sempre crescente interesse.
Molto si è scritto e molti corsi sono stati istituiti per formare amatori in grado di mantenere viva questa tradizione e i risultati sono molto lusinghieri, ma non sempre e non tutti sono in grado di poter intervenire nella propria acetaia con la dovuta perizia e quindi per non rovinare un patrimonio inestimabile occorre che questi possano rivolgersi a personale esperto e competente che possa dare i necessari consigli ed eventualmente prestare la propria opera direttamente laddove l’acetaia sarebbe soggetta ad abbandono o a cattiva manutenzione.
I legni dei barili
La scelta del legno idoneo col quale costituire la propria acetaia è elemento fondamentale nella personalizzazione della stessa nonché occasione per decidere a priori quale carattere avrà il prodotto che andremo a creare. La pratica pluricentenaria ha fatto si che non tutti i legni adatti per la costruzione di contenitori lo siano altrettanto per contenere e favorire i processi legati al balsamico. Legni importanti come ad esempio il noce sono esclusi dal novero di quelli utilizzabili mentre altri apparentemente più umili assurgono a valore per il bottaio del balsamico. L’osservazione e sperimentazione da parte di numerose generazioni di questi preziosi artigiani, un tempo molto diffusi a causa del vasto impiego di recipienti in legno, ha permesso di individuare con certezza i pregi e i difetti, se ce ne sono, delle essenze arboree con le quali si costruiscono i barili da balsamico.
Il Castagno
Dolce, malleabile eppure di buona tenuta, capace col suo tannino di trasmettere all’aceto l’intensità scura del colore. Bianco appena lavorato, acquista col tempo sfumature via via più scure tipiche. Complessa e non sempre regolarissima la venatura, rimane tra i legni più apprezzati.
Il Castagno è tipico della zona medio alta dell’Appennino. Albero di ragguardevoli dimensioni e longevo è stato per secoli sostentamento nelle esigue risorse della montagna. Il suo legno malleabile e di buona durata è molto utilizzato nella costruzione dei barili.
Il Ciliegio
Raffinato, dal fine aroma d’amarena. È un legno di buona lavorazione, pregiato e molto bello nella sua rosea colorazione. Molti produttori hanno o stanno attivando batterie monocromatiche composte con questa essenza, dal momento che si è appurato che il balsamico trae particolare e inconfondibile giovamento aromatico da questo connubio.
Vasti appezzamenti coltivati a Ciliegio; nella zona di Vignola a ridosso della cittadina di Spilamberto, culla del balsamico, sorgono proprio nell’innesto della pianura sulle incipienti colline modenesi. È un albero di medie dimensioni, supera difficilmente i 15 metri d’altezza, e a causa della sua idiosincrasia per le potature è generalmente allevato in forma pressochè spontanea a vaso aperto. Così il formidabile colpo d’occhio nei mesi della fioritura raduna numerosi visitatori i quali convergono da ogni dove per assicurarsi questo spettacolo avvincente e insolito.
La Robinia
Legno duro forte e compatto. Adatto per ultra secolare utilizzo dal momento che garantisce tenuta pressochè perfetta. Di colore giallo paglierino tendente ad ambrarsi con gli anni. Dal punto di vista del balsamico apporta un contributo notevole in acidità favorendo quindi l’acetificazione.
La Robinia pseudo Acacia forma macchie nelle vicinanze di corsi d’acqua e si distingue per la sua corteccia scolpita. È una leguminosa diffusa spontaneamente lungo gli argini e in collina, dal legno molto pesante di estrema durata. Di Acacia era composta l’Arca dell’Alleanza.
Il Ginepro
Delizia e Croce dell’acetaia. Dispute anche edotte si sono susseguite sul suo utilizzo secondo la tradizione, poiché se da un lato l’aroma inconfondibile conferisce all’aceto una caratteristica spiccata e immediata, d’altro canto non sempre è auspicabile la sua “invadenza” dal momento che si tende a preferire apporti dei vari legni, più neutri, così da avere una incidenza meno evidente sul prodotto. Resta comunque uno dei legni più ricercati in acetaia anche per il semplice fatto che non è facile attualmente reperirlo essendo del tutto scomparse pezzature utili di questo sempreverde almeno nelle zone appenniniche emiliane nelle quali nei secoli scorsi invece ci si approvvigionava senza problemi . chi ha un barile di ginepro solitamente lo custodisce con molta cura.
Il Ginepro è un sempreverde non di grandissime dimensioni, spontaneo in tante zone appenniniche è ultimamente di difficile reperibilità a causa dell’esiguità del numero e dell’insufficiente grandezza degli esemplari rimasti. Legno resinoso e di lunghissima durata gode di alta reputazione in acetaia.
Il Frassino
Pesante compatto dalla dura fibra. È un legno neutro in quanto non trasmette all’aceto balsamico alcun tannino essendone sprovvisto. Infatti il suo colore bianco dalla venatura elegante favorisce anch’esso l’acidità senza alterare in alcun modo il colore.
Il Frassino è un’essenza arborea da sempre parte integrante delle antiche zone boschive delle province del balsamico. Albero di crescita energica può raggiungere dimensioni notevoli, il suo legno bianchissimo è molto utilizzato in falegnameria e per questo incoraggiato. Nell’iconografia locale è spesso presente a testimonianza della sua presenza endemica, affreschi tele e quadri del passato nonché in araldica.
Il Gelso
Molto presente in passato essendo spesso utilizzato nelle “piantate”, i filari posti al limitare delle proprietà agricole. La scelta su questo albero era favorita dall’attività di allevamento dei bachi da seta che costituivano una forma di integrazione del magro bilancio familiare del contadino. Scomparsa questa lavorazione già prima della seconda guerra mondiale, il gelso è rimasto comunque in acetaia poiché con la sua porosità dovuta ai larghi cerchi primaverili, favorisce una veloce concentrazione del balsamico. Giallo intenso appena tagliato, si ossida con rapidità acquistando un colore rossastro scuro. Legno tenero e ben lavorabile.
Il Gelso, albero di medie dimensioni piantumato intensivamente nell’800 per il diffondersi dell’economia del baco da seta nelle nostre zone. Per arrotondare il magro bilancio domestico le donne di casa “andavano alla foglia” ossia si procuravano le foglie di quest’albero con le quali nutrivano negli appositi contenitori le preziose larve. Legno poroso dagli ampi cerchi primaverili, le foglie vagamente richiamanti la vite, sono facilmente attaccate da insetti e virosi.
La Quercia
E’ da sempre considerato l’albero per eccellenza. Nella nostra zona anche la toponomastica, un esempio la località di Rovereto di Modena, rileva che un tempo dovevano esserci boschi estesi di questa essenza. Le varietà più frequenti sono la Farnia, sorta di quercia delle zone umide, albero maestoso può raggiungere i 30 metri d’altezza molto longevo, il Rovere detto robur per le sue qualità di resistenza, più esteso in collina, così come la Roverella che, a scapito del nome, raggiunge dimensioni anch’essa ragguardevoli.